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IL DISORDINE CHE FA CRESCERE: IL VALORE EDUCATIVO DELLA DISSONANZA

Quando l’armonia si spezza, inizia un interessante percorso di evoluzione e apprendimento.

Viviamo spesso alla ricerca dell’equilibrio, vogliamo coerenza, conferme, armonia: ma la vita reale è piena di contrasti, rotture, ambiguità. È lì che nasce la dissonanza: quel momento in cui le cose non tornano, in cui le parti non si incastrano, in cui sentiamo che qualcosa dentro o fuori di noi è ‘stonato’.

Questa esperienza, che può apparire fastidiosa o destabilizzante, è in realtà una delle forze più potenti che abbiamo per evolvere. La dissonanza non è un errore ma un invito, non è un ostacolo ma una soglia.

Non solo psicologia: la dissonanza come esperienza educativa

Spesso il termine dissonanza viene usato nel linguaggio psicologico (in particolare nella teoria della dissonanza cognitiva elaborata dallo psicologo e sociologo statunitense Leon Festinger nel 1957) ma il suo significato va oltre. Nel contesto educativo, ad esempio, la dissonanza ha un ruolo cruciale. È il momento in cui uno studente si accorge che qualcosa non torna: un concetto sfida la sua visione del mondo, un’idea mette in crisi ciò che pensava di sapere, una domanda apre un vuoto.

È proprio in questi momenti di frizione interiore che si attiva il pensiero. Senza dissonanza, non c’è vera curiosità, senza disagio, non c’è movimento.

Educare non significa colmare, ma provocare

Un’educazione efficace non si limita a trasferire contenuti. Non riempie menti vuote, ma accende fiamme: spesso la scintilla nasce da un attrito.

Per questo, la scuola non dovrebbe temere il conflitto cognitivo, ma costruirci intorno esperienze significative. Proporre più punti di vista, lasciare spazio all’ambiguità, stimolare il confronto e il dubbio: tutto questo non confonde, ma forma. Forma persone capaci di pensare con la propria testa, di mettere in discussione, di cercare alternative.

In questa prospettiva, l’insegnante non è colui che risolve subito ogni tensione, ma chi la valorizza. È un facilitatore di percorsi, un artigiano del dubbio, un accompagnatore nella complessità.

L’aula scolastica come spazio dinamico, non statico

Un’aula viva è quella in cui si può dire ‘non ho capito’, ‘non sono d’accordo’, è quella in cui le verità non sono dogmi, ma ipotesi da esplorare insieme. È quella in cui il sapere si costruisce nel dialogo, nel confronto, anche nella dissonanza.

Favorire questi spazi non significa rinunciare alla chiarezza, ma dare valore al processo. Non si tratta di avere sempre ragione, ma di imparare a cercarla insieme, tra errori, intuizioni e scoperte.

Formare menti elastiche in tempi complessi

Viviamo in un’epoca in cui la complessità non è più un’eccezione, ma la regola. Le informazioni si moltiplicano, i punti di vista si intrecciano, le certezze si incrinano. In questo scenario, la scuola non può limitarsi a fornire risposte pronte: deve insegnare a restare nella domanda.

Formare menti elastiche significa coltivare la capacità di tollerare l’incertezza, di abitare il dubbio, di convivere con la tensione che nasce dal confronto tra idee diverse. Non si tratta solo di trasmettere contenuti, ma di costruire una postura mentale: aperta, critica, riflessiva.

La dissonanza, se accolta con intelligenza, diventa uno strumento potente per allenare questa elasticità. Permette agli studenti di sperimentare la frizione tra ciò che sanno e ciò che stanno imparando, e di trasformare quel fastidio in una spinta alla comprensione profonda.

Un’educazione che non censura il conflitto, ma lo valorizza, prepara individui capaci di affrontare il mondo con flessibilità e consapevolezza.   E   questo,   oggi   più   che   mai,   è   un   atto rivoluzionario ma anche necessario.

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EDUCAZIONE, PEDAGOGIA E SCUOLA: NASCE LA FONDAZIONE ANTEEGO

Un progetto per rimettere al centro l’educazione come strumento di liberazione, crescita e responsabilità sociale.

Viviamo in un tempo in cui il mondo dell’educazione sembra spesso oscillare tra due poli: da un lato, l’iper-tecnicizzazione della scuola, che rischia di ridurre l’apprendimento a una sequenza di competenze standardizzate; dall’altro, il progressivo indebolimento della scuola pubblica, sotto pressione per mancanza di risorse, discontinuità politica e crescente disaffezione sociale.
In questo contesto complesso e mutevole nasce la Fondazione Anteego, con l’obiettivo di rimettere al centro dell’educazione l’essere umano, la relazione educativa e il valore trasformativo della conoscenza. Un progetto che prende forma da un’idea forte: l’educazione deve essere un percorso di crescita reciproca, tra maestro ed allievo, tra individuo e comunità.

Pedagogia della libertà: le radici del nostro progetto

La Fondazione Anteego si ispira a quella tradizione pedagogica italiana che ha saputo tenere insieme pensiero e azione. Una tradizione viva, mai solo teorica, che ha trovato voce in figure come Danilo Dolci, Aldo Capitini, Marco Lodi, Goffredo Fofi, pensatori, educatori, attivisti.
La cosiddetta pedagogia libertaria ci insegna che educare non significa riempire teste, ma creare spazi per l’ascolto, la partecipazione, la responsabilità. In questa visione, anche l’insegnante è in cammino, cresce insieme ai suoi studenti e apprende con loro.

Una scuola per cittadini consapevoli

Il nostro intento non è solo formare individui “competenti”, ma persone consapevoli, in grado di agire nel mondo con autonomia, senso critico e rispetto per gli altri e per l’ambiente in cui vivono.
Vogliamo promuovere un’educazione che unisca crescita individuale e crescita collettiva, in un equilibrio che favorisca la convivenza, l’inclusione e la costruzione di relazioni autentiche. La nonviolenza, l’ascolto e la cooperazione (pensiamo ad Aldo Capitini) sono i mattoni su cui vogliamo fondare il nostro percorso educativo.

La Fondazione come laboratorio sociale

La Fondazione Anteego non sarà solo un luogo di riflessione, ma anche e soprattutto di pratica educativa. Avvieremo laboratori, attività, conferenze e momenti formativi che tocchino tutte le dimensioni dell’esperienza: arte, scienza, filosofia, educazione civica, cultura giuridica e competenze tecniche.
Tutte iniziative pensate per aprire spazi di confronto, nutrire il pensiero critico e favorire un’educazione partecipata e democratica. Un’educazione capace di dialogare con il presente, senza rinunciare a una visione forte del futuro.

Verso una scuola nuova, dentro la comunità

Uno degli obiettivi della Fondazione è arrivare alla creazione di una scuola, un luogo fisico in cui queste idee possano incarnarsi. Una scuola privata nella forma, ma pubblica nella sua missione: a servizio della collettività, in dialogo costante con la scuola pubblica, le università e le realtà del territorio.
Una scuola radicata nella comunità, dove le ragazze e i ragazzi possano apprendere in modo attivo e responsabile, sentendosi protagonisti e non semplici destinatari di contenuti.

Formare persone per un lavoro consapevole

Educare non significa solo preparare al lavoro, ma dare strumenti per affrontare con dignità e libertà i cambiamenti della vita, anche quelli professionali. Chi cresce con una solida base educativa e valoriale sarà una persona in grado di reinventarsi, di collaborare, di contribuire allo sviluppo delle imprese e delle comunità. Non ci interessa il lavoro sfruttato o alienato. Ci interessa un mondo del lavoro che valorizzi le persone, e che cresca insieme a loro. Un’economia fondata sulla reciprocità, sulla responsabilità e sulla consapevolezza.

Un invito ad agire insieme

La nascita della Fondazione Anteego è solo l’inizio. Sarà un percorso aperto a chiunque voglia partecipare, contribuire, condividere idee e visioni.
Crediamo in un’educazione che non si limita a istruire, ma che libera e restituisce dignità all’essere umano. Educare significa dare alle persone la libertà di diventare ciò che desiderano essere. E questa è la sfida più grande, ma anche la più bella.
Unisciti a noi. Partecipa alle iniziative. Insieme possiamo immaginare e realizzare un’educazione capace di rispondere alle sfide del presente e preparare un futuro più consapevole.

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DANILO DOLCI: “CIASCUNO CRESCE SOLO SE SOGNATO”

Maieutica reciproca, educazione e cambiamento sociale nel segno della nonviolenza

Danilo Dolci è stato una delle figure più luminose del Novecento italiano: intellettuale, poeta, sociologo, pedagogo e attivista. Conosciuto come il “Gandhi della Sicilia”, ha dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia, l’ingiustizia sociale e l’emarginazione, portando avanti un’idea rivoluzionaria di educazione basata sul dialogo, sull’ascolto e sulla partecipazione attiva.

Uno dei contributi più originali e attuali del suo pensiero è la maieutica reciproca: un metodo educativo che ribalta la logica verticale del sapere e propone una costruzione collettiva della conoscenza. Un metodo che non solo educa, ma trasforma la società.

Chi era Danilo Dolci?

Nato nel 1924 a Sesana, allora territorio italiano oggi in Slovenia, Danilo Dolci studiò architettura ma presto abbandonò ogni ambizione professionale per dedicarsi interamente all’impegno civile. Scelse la Sicilia come terra d’azione, rimanendovi per tutta la vita.

Qui si confrontò con povertà estrema, disoccupazione, analfabetismo e presenza mafiosa. Di fronte a queste realtà, Dolci non si limitò a denunciarle: le affrontò coinvolgendo direttamente le persone, organizzando scioperi della fame, laboratori educativi e azioni nonviolente come il celebre sciopero “al contrario”, per cui fu arrestato.

La radice della maieutica: da Socrate a Dolci

Il termine “maieutica” viene dal greco e significa “arte della levatrice”. È la tecnica usata da Socrate per aiutare i suoi interlocutori a “partorire” la conoscenza che già avevano dentro di sé. Danilo Dolci riprende questo concetto e lo reinterpreta radicalmente, dando vita a un nuovo approccio: la maieutica reciproca.

In questo metodo, non c’è un maestro che guida e un allievo che riceve: tutti partecipano come pari, contribuendo attivamente alla nascita del sapere attraverso il dialogo..

Cos’è la maieutica reciproca?

La maieutica reciproca è un metodo educativo basato sul confronto aperto, sull’ascolto attivo e sulla partecipazione collettiva. L’obiettivo non è “insegnare” ma creare le condizioni perché ciascuno possa esprimere idee, dubbi, esperienze, contribuendo così alla costruzione comune della conoscenza.

I pilastri della maieutica reciproca:

  • Dialogo inclusivo: ogni voce ha valore.
  • Ascolto attivo: si apprende ascoltando davvero gli altri.
  • Conoscenza condivisa: non si trasmettono nozioni, si costruiscono significati.
  • Responsabilità sociale: educare significa anche attivarsi per il bene comune.

Un metodo per trasformare le comunità

Dolci applicò la maieutica reciproca nei luoghi più dimenticati, portandola tra contadini, disoccupati, studenti, bambini. I suoi laboratori erano spazi vivi di riflessione e azione, dove si discutevano i problemi reali delle persone: dalla miseria economica al peso della mafia.

Alcuni esempi di applicazione:

  • Nelle scuole: per stimolare pensiero critico e cooperazione tra pari.
  • Nelle comunità marginalizzate: per costruire soluzioni condivise e rafforzare l’autonomia collettiva.
  • Nella lotta alla mafia: per rompere la cultura del silenzio e promuovere il coraggio civile.

In ogni contesto, la conoscenza non era mai imposta, ma fioriva dal confronto.

L’impatto del metodo

  • Promuove l’autonomia di pensiero.
  • Insegna a condividere responsabilità.
  • Sviluppa consapevolezza sociale e politica.
  • È una risposta attuale al bisogno di cittadinanza attiva e critica.

Dolci ci ha mostrato che educare è un atto politico e poetico insieme. È credere che un altro mondo sia possibile e iniziare a costruirlo, parola dopo parola, persona dopo persona.

“Il profumo delle zagare”: il racconto di una rivoluzione nonviolenta

Per chi volesse scoprire (o riscoprire) la figura di Danilo Dolci, segnaliamo il documentario “Il profumo delle zagare” (Italia, 2022 – 49 min), diretto da Paolo Bianchini. Un viaggio nella sua vita, tra educazione, nonviolenza e attivismo radicale, che racconta la forza di chi ha saputo “essere sognato” da un futuro migliore.

Italia, 2022. 49 min

Istigatore alla rivoluzione nonviolenta, Danilo Dolci lottava per la liberazione dalla mafia, contro l’illegalità, contro lo sfruttamento delle terre, lottava per la condivisione del pensiero libero e l’educazione all’ascolto. Ideò lo sciopero “al contrario” per il quale fu arrestato e processato.

Regia: Paolo Bianchini

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GOFFREDO FOFI: “L’ERRORE È CIÒ CHE NON SI È FATTO.”

Una vita tra educazione, critica culturale e impegno civile, sempre in cerca del senso profondo delle cose

“Non sono un intellettuale brillante, ma uno curioso”, diceva Goffredo Fofi. E in questa affermazione c’è tutta la sua storia: un percorso irregolare, fatto di incontri illuminanti, scelte radicali e una costante tensione tra pensiero e azione. Dall’infanzia contadina in Umbria all’attivismo in Sicilia, dagli scioperi alla FIAT alla passione per il cinema d’autore, Fofi ha attraversato il Novecento come un osservatore critico e partecipe. Non si è mai lasciato ingabbiare da etichette, e ha sempre cercato (nella cultura, nell’educazione e nella politica) una possibilità di trasformazione. Il suo è il racconto di una vita vissuta dalla parte degli ultimi, con lucidità e coerenza.

Radici popolari e vocazione educativa

Goffredo Fofi nasce nel 1937 in Umbria, in una famiglia numerosa di origine contadina. Il padre, bracciante prima e operaio poi, è il simbolo di un’Italia ancora legata alla mezzadria, povera e arcaica. Cresce in un ambiente segnato da disuguaglianze profonde, che gli lascia un’eredità indelebile: una forte sensibilità per le ingiustizie sociali e un bisogno precoce di capire il mondo.

Diventa maestro elementare, e grazie a una borsa di studio della Olivetti, azienda all’avanguardia anche sul piano culturale, si trasferisce a Roma per studiare assistenza sociale. In questo periodo entra in contatto con Danilo Dolci, con cui collabora in Sicilia. A Palermo e Partinico lavora con i bambini e partecipa ai progetti di educazione popolare e sviluppo comunitario. È qui che prende forma la sua idea di cultura come strumento di liberazione collettiva, non come privilegio individuale.

Lo shock di Matera e la possibilità del cambiamento

Alla fine degli anni ’50, Fofi visita Matera, dove i Sassi sono ancora abitati da famiglie in condizioni disumane. L’intervento di Olivetti e le prime politiche di risanamento urbano gli mostrano che il cambiamento è possibile, se sostenuto da visioni concrete. Quell’esperienza sarà per lui un punto di svolta: la cultura deve calarsi nella realtà, ascoltarla, rispondere ai bisogni urgenti.

Torino e la scoperta del movimento operaio

Negli anni ’60 si trasferisce a Torino, cuore pulsante dell’industria italiana e delle lotte operaie. Qui entra in contatto con il gruppo dei Quaderni Rossi guidati da Raniero Panzieri, e partecipa alle grandi mobilitazioni sindacali, come gli scioperi alla FIAT del 1962. È la sua seconda grande rivelazione, dopo la Sicilia: la condizione operaia del Nord rivela nuove forme di alienazione e sfruttamento.

Cresciuto in una famiglia socialista, Fofi entra giovanissimo nel Partito Socialista Italiano, ma dopo la scissione del PSIUP abbandona la militanza partitica, scegliendo una via autonoma, più vicina ai movimenti di base e alle esperienze dirette. L’impegno politico per lui è azione concreta, non ideologia astratta.

Parigi: l’incontro con il pensiero europeo

Il passaggio a Parigi segna un’altra tappa fondamentale. Frequenta corsi con Foucault, Barthes, Lévi-Strauss, e vive da vicino il fermento intellettuale europeo. Celebre l’aneddoto in cui, durante una lezione di LéviStrauss, riesce a lavorare a maglia meglio dei compagni francesi, grazie ai ricordi d’infanzia. La cultura, per Fofi, non è mai disgiunta dall’esperienza personale.

Nel frattempo, scopre il cinema alla Cinémathèque Française: ne nasce una passione che accompagnerà tutta la sua vita. Studia anche la letteratura francese, con particolare attenzione a Balzac, e inizia a elaborare una visione critica della cultura che rifiuta l’accademismo e si nutre di autenticità.

Il ritorno in Italia e il “rimpianto” dell’editoria

Tornato in Italia, Fofi si avvicina al mondo dell’editoria, collaborando con Feltrinelli, Garzanti e numerose riviste. Ma non lo vive mai come una piena realizzazione. La definisce infatti un “errore”: il vero scopo della sua vita sarebbe dovuto essere l’attivismo sociale.

Negli anni tra il 1943 e il 1978, dalla Resistenza all’assassinio di Aldo Moro , l’Italia vive una stagione irripetibile. Fofi la attraversa con consapevolezza, conoscendo personalità straordinarie come Parri, Ada Gobetti, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini, con cui intrattiene un rapporto fatto di conflitto e stima. Non smette mai di essere una voce critica, anche verso il mondo della cultura e del cinema.

Letteratura, cinema e spirito barocco

Nel tempo, Fofi approfondisce la cultura spagnola e latinoamericana, sviluppando una predilezione per la letteratura barocca, che considera più vicina alla complessità del reale rispetto al neorealismo. L’influenza di Gadda è determinante: “Il barocco è il mondo”, dice lo scrittore, e Fofi sembra farne il proprio manifesto.

Anche nel cinema, si distingue per uno sguardo affilato e anticonformista. Critico severo ma rispettato, mantiene rapporti sinceri con registi come Fellini, Monicelli e Elio Petri, che accettano le sue critiche con autoironia.

La curiosità come forma di resistenza

Goffredo Fofi si definisce una “mediocrità curiosa”, ma è proprio questa curiosità inesauribile a renderlo una figura unica. Ha vissuto senza mai cercare visibilità, ma con il desiderio profondo di capire e condividere. Anche se rimpiange di non essersi dedicato di più all’educazione e all’attivismo, ha lasciato un segno indelebile nella cultura italiana del secondo Novecento.

La sua vita è stata un esercizio continuo di pensiero critico, dialogo e coerenza morale. E forse l’errore più grande, come suggerisce il titolo di questo articolo, non è quello che si commette, ma ciò che non si è fatto.