GOFFREDO FOFI: “L’ERRORE È CIÒ CHE NON SI È FATTO.”

Una vita tra educazione, critica culturale e impegno civile, sempre in cerca del senso profondo delle cose

“Non sono un intellettuale brillante, ma uno curioso”, diceva Goffredo Fofi. E in questa affermazione c’è tutta la sua storia: un percorso irregolare, fatto di incontri illuminanti, scelte radicali e una costante tensione tra pensiero e azione. Dall’infanzia contadina in Umbria all’attivismo in Sicilia, dagli scioperi alla FIAT alla passione per il cinema d’autore, Fofi ha attraversato il Novecento come un osservatore critico e partecipe. Non si è mai lasciato ingabbiare da etichette, e ha sempre cercato (nella cultura, nell’educazione e nella politica) una possibilità di trasformazione. Il suo è il racconto di una vita vissuta dalla parte degli ultimi, con lucidità e coerenza.

Radici popolari e vocazione educativa

Goffredo Fofi nasce nel 1937 in Umbria, in una famiglia numerosa di origine contadina. Il padre, bracciante prima e operaio poi, è il simbolo di un’Italia ancora legata alla mezzadria, povera e arcaica. Cresce in un ambiente segnato da disuguaglianze profonde, che gli lascia un’eredità indelebile: una forte sensibilità per le ingiustizie sociali e un bisogno precoce di capire il mondo.

Diventa maestro elementare, e grazie a una borsa di studio della Olivetti, azienda all’avanguardia anche sul piano culturale, si trasferisce a Roma per studiare assistenza sociale. In questo periodo entra in contatto con Danilo Dolci, con cui collabora in Sicilia. A Palermo e Partinico lavora con i bambini e partecipa ai progetti di educazione popolare e sviluppo comunitario. È qui che prende forma la sua idea di cultura come strumento di liberazione collettiva, non come privilegio individuale.

Lo shock di Matera e la possibilità del cambiamento

Alla fine degli anni ’50, Fofi visita Matera, dove i Sassi sono ancora abitati da famiglie in condizioni disumane. L’intervento di Olivetti e le prime politiche di risanamento urbano gli mostrano che il cambiamento è possibile, se sostenuto da visioni concrete. Quell’esperienza sarà per lui un punto di svolta: la cultura deve calarsi nella realtà, ascoltarla, rispondere ai bisogni urgenti.

Torino e la scoperta del movimento operaio

Negli anni ’60 si trasferisce a Torino, cuore pulsante dell’industria italiana e delle lotte operaie. Qui entra in contatto con il gruppo dei Quaderni Rossi guidati da Raniero Panzieri, e partecipa alle grandi mobilitazioni sindacali, come gli scioperi alla FIAT del 1962. È la sua seconda grande rivelazione, dopo la Sicilia: la condizione operaia del Nord rivela nuove forme di alienazione e sfruttamento.

Cresciuto in una famiglia socialista, Fofi entra giovanissimo nel Partito Socialista Italiano, ma dopo la scissione del PSIUP abbandona la militanza partitica, scegliendo una via autonoma, più vicina ai movimenti di base e alle esperienze dirette. L’impegno politico per lui è azione concreta, non ideologia astratta.

Parigi: l’incontro con il pensiero europeo

Il passaggio a Parigi segna un’altra tappa fondamentale. Frequenta corsi con Foucault, Barthes, Lévi-Strauss, e vive da vicino il fermento intellettuale europeo. Celebre l’aneddoto in cui, durante una lezione di LéviStrauss, riesce a lavorare a maglia meglio dei compagni francesi, grazie ai ricordi d’infanzia. La cultura, per Fofi, non è mai disgiunta dall’esperienza personale.

Nel frattempo, scopre il cinema alla Cinémathèque Française: ne nasce una passione che accompagnerà tutta la sua vita. Studia anche la letteratura francese, con particolare attenzione a Balzac, e inizia a elaborare una visione critica della cultura che rifiuta l’accademismo e si nutre di autenticità.

Il ritorno in Italia e il “rimpianto” dell’editoria

Tornato in Italia, Fofi si avvicina al mondo dell’editoria, collaborando con Feltrinelli, Garzanti e numerose riviste. Ma non lo vive mai come una piena realizzazione. La definisce infatti un “errore”: il vero scopo della sua vita sarebbe dovuto essere l’attivismo sociale.

Negli anni tra il 1943 e il 1978, dalla Resistenza all’assassinio di Aldo Moro , l’Italia vive una stagione irripetibile. Fofi la attraversa con consapevolezza, conoscendo personalità straordinarie come Parri, Ada Gobetti, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini, con cui intrattiene un rapporto fatto di conflitto e stima. Non smette mai di essere una voce critica, anche verso il mondo della cultura e del cinema.

Letteratura, cinema e spirito barocco

Nel tempo, Fofi approfondisce la cultura spagnola e latinoamericana, sviluppando una predilezione per la letteratura barocca, che considera più vicina alla complessità del reale rispetto al neorealismo. L’influenza di Gadda è determinante: “Il barocco è il mondo”, dice lo scrittore, e Fofi sembra farne il proprio manifesto.

Anche nel cinema, si distingue per uno sguardo affilato e anticonformista. Critico severo ma rispettato, mantiene rapporti sinceri con registi come Fellini, Monicelli e Elio Petri, che accettano le sue critiche con autoironia.

La curiosità come forma di resistenza

Goffredo Fofi si definisce una “mediocrità curiosa”, ma è proprio questa curiosità inesauribile a renderlo una figura unica. Ha vissuto senza mai cercare visibilità, ma con il desiderio profondo di capire e condividere. Anche se rimpiange di non essersi dedicato di più all’educazione e all’attivismo, ha lasciato un segno indelebile nella cultura italiana del secondo Novecento.

La sua vita è stata un esercizio continuo di pensiero critico, dialogo e coerenza morale. E forse l’errore più grande, come suggerisce il titolo di questo articolo, non è quello che si commette, ma ciò che non si è fatto.

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